Dalle ciotole di ramen alle tazze di caffè, passando per corpi femminili e colori primari: Eva trasforma ciò che sembra banale in illustrazioni ironiche capaci di emozionare.
Dall’Ohio all’Italia, passando per il mondo: Eva Bird Design è il brand di Eva Stammen, l’illustratrice e designer che ha trasformato il suo immaginario in un brand internazionale. Le sue opere mescolano cultura pop, corpi femminili e oggetti quotidiani, rappresentati con spontaneità, ironia e con colori che non passano inosservati. Eva trasforma ciò che la circonda in storie visive capaci di emozionare e sorprendere.
In questa intervista ci racconta il suo percorso tra creatività e business, la scelta di fare dell’Italia la sua seconda casa e i consigli per chi vuole trasformare l’arte in un lavoro. Da leggere fino in fondo.

Raccontaci un po’ di te: quando hai capito che l’illustrazione e il design sarebbero diventati il tuo lavoro. C’è stato un momento preciso?
Ho sempre saputo di voler creare. L’arte è sempre stata parte della mia vita: non solo nel disegno, ma anche nel modo in cui parlo, mi vesto, cucino e vedo il mondo. Il momento in cui ho capito che poteva diventare un lavoro è stato quando mi sono resa conto che le persone erano disposte a pagare per quello che facevo: non solo perché piaceva esteticamente, ma perché riusciva a farle emozionare. Da lì ho capito che l’arte poteva essere più di un’espressione personale: poteva diventare un ponte tra me e gli altri. Trasformare quella passione in un mestiere mi sembra meno un “lavoro” e più come vivere finalmente la vita che immaginavo da bambina. Ancora oggi mi sembra surreale vedere i miei lavori appesi in posti dove non sono mai stata.
Il tuo percorso artistico è frutto di studi formali o sei principalmente autodidatta?
Un po’ entrambe le cose! Ho una laurea in design e marketing in una piccola scuola d’arte in Ohio, che mi ha dato una base tecnica solida. Ma il mio vero stile e la mia voce sono nati sperimentando, sbagliando e creando per divertimento. Ho attraversato tantissime fasi diverse prima di arrivare a quello che faccio oggi. Da bambina facevo corsi pomeridiani e a casa riempivo il tavolo da pranzo di pennelli e colori insieme ai miei fratelli. La mia arte di oggi è il risultato di anni di curiosità, tentativi e gioco.
Come nasce una tipica illustrazione di Eva Bird Design? Parti da un’idea precisa o lasci che il disegno prenda forma pian piano?
Di solito parto da un’idea vaga o da una sensazione. A volte disegno subito, altre volte lascio che l’idea resti nella mia testa per un po’. Il mio processo è molto fluido: adoro quando un pezzo mi sorprende e prende direzioni inaspettate. Le ispirazioni arrivano da film, musica, dal modo in cui penso all’amore o da come vivo il mondo. Nei lavori su commissione invece amo intrecciare la storia della persona con la mia, aggiungendo il mio tocco giocoso e audace.

Nelle tue opere i protagonisti sono colori vivaci, personaggi giocosi e corpi femminili: da dove prendi ispirazione per palette e soggetti?
Mi ispiro alla vita quotidiana, alla cultura pop e alle mie esperienze come donna. Il corpo femminile è centrale nel mio lavoro, non come qualcosa da nascondere o oggettivare, ma come simbolo di forza, ironia e autenticità. Voglio che le mie figure risultino umane e vicine, e che possano aprire una conversazione. I colori sono il mio terreno di gioco preferito: li uso per trasmettere emozioni e dare energia alle figure, trasformandole in spazi di libertà e celebrazione.


Spesso appaiono anche oggetti comuni: ci sono elementi della quotidianità che cerchi di valorizzare?
Sì, assolutamente. Mi piace prendere oggetti ordinari, come una tazza di caffè, un paio di scarpe o persino una ciotola di ramen, come nel mio poster NOODS?, e dar loro personalità. È nato solo dal mio amore per il ramen, ma è diventato un pezzo ironico e divertente. Per me è importante trovare poesia e leggerezza nella vita di tutti i giorni, “romanticizzare” i piccoli momenti e renderli degni di attenzione.


Quali sono gli strumenti, i materiali o colori di cui non potresti fare a meno?
Il mio iPad, e un espresso.
Per quanto riguarda i colori, sono fissata con i primari. Potrei lavorare solo con quelli e sarei comunque felice. Gran parte dei miei lavori ruota attorno a queste tonalità perché portano energia, chiarezza e coerenza.
Quanto è importante per te lo storytelling nelle tue illustrazioni?
Per me è tutto. Anche nei pezzi più semplici voglio che si percepisca una storia, anche se poi è lo spettatore a deciderla. La nostalgia gioca un ruolo enorme: adoro inserire sensazioni e ricordi d’infanzia. È fondamentale per me non perdere mai quello sguardo curioso e meravigliato che avevamo da bambini, e lo porto in ogni illustrazione.
C’è un poster o un progetto che è stato particolarmente difficile da creare? Perché?
Sì, il mio poster di Fleabag. Il primo design è quello che mi ha fatto conoscere (anche se purtroppo è stato copiato e rivenduto su piattaforme come Amazon e Temu). Di recente ho realizzato una nuova illustrazione della scena famosa “I love you. It’ll pass.” ed è stato uno dei lavori più difficili che abbia mai fatto. Quella serie è molto personale per me: il mix di ironia, vulnerabilità, amore e dolore rispecchia il mio modo di vivere le cose. Volevo che il poster trasmettesse la stessa intensità e parlasse alle persone come la serie ha parlato a me. La sfida non era solo tecnica (non faccio quasi mai sfondi completi), ma anche emotiva: mettere così tanto di me in un’opera e poi mostrarla al pubblico. Ma ho imparato che se qualcosa è “troppo personale”, allora vale la pena condividerla. Ed è per questo che oggi ne vado fiera.

Abbiamo visto che spesso ti trovi in Italia: che rapporto hai con il nostro paese e in che modo esso influenza il tuo stile o il tuo approccio al lavoro?
L’Italia mi è sembrata casa dal primo giorno. Dopo il mio primo viaggio, sono tornata negli Stati Uniti e ho subito cercato un insegnante per iniziare a studiare la lingua. Non ho origini italiane, sono una ragazza del Midwest, ma ho sentito subito un legame forte.
I colori, l’architettura, il ritmo della vita… tutto entra nei miei lavori. Negli anni ho vissuto in diverse città italiane e ogni volta mi sono riscoperta in un modo nuovo. Le persone che ho conosciuto qui sono diventate alcune delle relazioni più importanti della mia vita. Entro la fine di quest’anno inizierò una vita a tempo pieno in Italia, gestendo il mio studio da qui: lavorerò con il mondo intero, ma radicata in un posto che mi ispira ogni giorno.
Quali differenze noti tra il pubblico americano e quello italiano quando si tratta di arte e design?
Il pubblico americano è spesso attratto da un impatto immediato: chiarezza, forza, messaggi diretti.
Quello italiano invece sembra apprezzare di più i dettagli, l’autenticità e la cura artigianale. Gli artisti e i brand italiani che seguo mi colpiscono per come sono senza compromessi, che si tratti di sesso, amore, politica o identità. Questo mi ispira tantissimo. Creare per entrambi i pubblici è una sfida che adoro: mi costringe a trovare un equilibrio tra impatto e sfumatura.
Qual è stata la sfida più grande nel trasformare la tua passione in un’attività che spedisce in tutto il mondo?
La logistica, senza dubbio! Potrei disegnare per ore, ma gestire stampe, spedizioni e dogane è un’arte a sé. Ho iniziato in piccolo, vendendo adesivi su Etsy solo negli Stati Uniti. Poi con i social ho capito che i miei lavori potevano arrivare ovunque. Il business dei poster è nato quasi per caso, quando ancora lavoravo in ufficio a Chicago. Solo di recente ho fatto il salto per dedicarmi a tempo pieno all’arte, e ne sono grata ogni giorno. Ancora adesso mi emoziona spedire pacchi in posti come il Giappone o l’Australia, paesi in cui non sono mai stata, ma dove ora vivono i miei lavori.
Come gestisci la parte più “imprenditoriale” del tuo lavoro (es: shop online, spedizioni, marketing) rispetto alla parte creativa?
Cerco di tenerle separate, così posso davvero concentrarmi su una cosa alla volta. Dedico alcuni giorni a compiti amministrativi, marketing e aggiornamenti dello shop, e altri solo a disegnare. Entrambi gli aspetti possono essere stancanti, e il burnout creativo è reale. Quando capita, passo alla parte imprenditoriale: lavorare su crescita, strategie e branding è diventato quasi un altro tipo di creatività.
Che consiglio daresti a chi sogna di trasformare la propria arte in un brand o in un business?
Inizia in piccolo. Sii costante. E non aspettare la perfezione: lo stile e il brand cambieranno col tempo, ed è giusto così. Concentrati su qualcosa che ti rappresenti davvero, che ti appassioni fino in fondo. Per me trasformare l’arte in un lavoro non è mai stato inseguire il denaro, ma inseguire la connessione. Ed è proprio questo che mi sostiene nelle difficoltà e che ti permetterà di continuare come artista.
