ReStyled by G è un brand emergente con tanto da raccontare dove circolarità, sostenibilità e sartoria sono di casa.
Nato dall’urgenza di rompere con un sistema che omologa tutto, incluse le identità, ReStyled by G fonda le sue radici in un’alternativa al fast fashion, focalizzandosi su tre grandi pilastri: upcycling, restyling e sartoria. Ogni capo è un pezzo unico, costruito con materiali vissuti, cucito da mani reali e pensato per rappresentare, non per seguire tendenze.
Abbiamo incontrato Gaia Schiavetti, la founder di questo brand emergente. Una designer che non si limita a creare vestiti, ma che, con l’aiuto di un giovane team, dà vita a vere e proprie visioni. Il suo messaggio è chiaro: la moda deve rappresentare, non essere seguita.
ReStyled by G nasce come risposta personale a un sistema che ha perso il contatto con le persone e con la realtà. L’upcycling diventa una missione e la circolarità un punto di partenza da normalizzare, non una caratteristica da sfoggiare. Quella di Gaia è una storia che parte dall’Italia, attraversa Harlem, passa per Camden Town, approda a Madrid e costruisce, pezzo dopo pezzo, un’alternativa reale a ciò che la moda è diventata.

Non è stato un business plan a far nascere Restyled, ma un intreccio di esperienze personali. Gaia racconta un’infanzia trascorsa tra le macchine da cucire delle nonne e una grande passione per la danza hip-hop. A soli otto anni, comincia a ballare, sviluppando un grande interesse per il rap e lo streetwear. A 17 anni, la danza urbana la porta a fare il suo primo viaggio negli Stati Uniti. A Brooklyn e Harlem viene a contatto con la cultura afroamericana, dove l’abbigliamento, i capelli e ogni dettaglio sono atti di rivendicazione identitaria, non un’estetica che, spesso, arriva in Europa svuotata del suo autentico significato.
Non a caso la sua tesi di laurea in Sociologia della Moda alla Sapienza analizza proprio l’appropriazione commerciale della subcultura afroamericana da parte dei grandi brand sportivi negli anni ’80 e ’90. Grazie ai quali, poi, si affermò come un fenomeno globale capace di resistere nel tempo e trasformare in vere e proprie star le figure che inizialmente rivendicavano quell’identità.
Dopo essersi laureata, Gaia ha cominciato ad ottenere esperienza nello styling, ritrovandosi a Londra, dove già dirompeva il movimento del drifting, del second hand e della sperimentazione. «La prima cosa che ho visto quando sono arrivata a Londra, a Camden Town, era un ragazzo con una giacca in pelle con la scritta “Punk is not dead”, e ciò mi ha colpito molto». Un momento apparentemente di poca importanza, ma che in realtà ha modellato l’intero pensiero di Gaia attorno alla moda: «Oggi, credo che un approccio punk nella moda sia semplicemente fare ciò che è umanamente corretto: conservarne la cultura, il valore espressivo, l’identità. Usare materiali giusti, rispettare le persone, l’ambiente e restituire dignità a un sistema che da movimento culturale è diventato solo commercio». ReStyled, dunque, è nato dal desiderio di esprimere la sua versione dei fatti, ritagliandosi un angolo nel mondo della moda.


La pandemia segna un ulteriore spartiacque dopo uno stage in una realtà fast fashion italiana che mette a nudo tutte le contraddizioni del sistema: «Ho potuto vedere con i miei occhi tutte le pratiche del fast fashion, della produzione in Cina e come funziona una piccola azienda in Italia, che però produce all’estero. Essendo uno stage e con l’arrivo del Covid, non ho potuto continuare e sono rimasta senza attività». L’arrivo del Covid interrompe l’esperienza, ma accelera un cambiamento. Nasce così la necessità concreta di fondare ReStyled by G, accompagnata da una formazione in Fashion Management.
ReStyled non adotta la circolarità: ci nasce dentro. Non è un plus o una strategia di marketing, per Gaia e il suo team è l’unico modo possibile per produrre. Ogni capo viene realizzato a partire da materiali esistenti, recuperati tramite donazioni o acquistati da mercerie locali. Nulla viene sprecato, ogni scarto viene reimmesso nel ciclo produttivo. La produzione è fatta di tagli, cuciture, errori e correzioni: un processo profondamente artigianale, lontano da qualsiasi serialità. Ogni pezzo è unico e portatore di significato.
Viene istintivo chiedersi quanto sia difficile portare avanti un progetto così in un mercato dominato dal fast fashion, Gaia ammette che: «la sfida più grande non è competere con i prezzi bassi, ma combattere la percezione completamente distorta del valore», continua «c’è una distinzione fondamentale, spesso ignorata: il fast fashion non è moda, è abbigliamento industriale». Gaia spiega che l’abbigliamento industriale non è un movimento culturale – cosa che la moda è – ma un meccanismo produttivo pensato per vendere a basso costo, spesso sacrificando lavoro, ambiente e identità. Da un lato, esso ha democratizzato l’accesso a vestiti economici; dall’altro, toglie valore a chi li produce e a chi, invece, cerca di fare moda pensata, progettata e responsabile. Tuttavia, il problema più grande per ReStyled, che si posiziona nella fascia media della sartoria, è che si trova a confrontarsi con competitor che comunicano qualità e artigianalità pur utilizzando logiche simili a quelle del fast fashion. La critica non è diretta ai clienti, ma al sistema che ha creato un’illusione di valore. Il consumatore medio crede di acquistare un prodotto di qualità, ma in realtà spesso paga il branding.
Inoltre, non basta che un’etichetta riporti “Made in Italy” per garantire che tutto sia stato prodotto nel rispetto delle persone. In questo cortocircuito di comunicazione, brand come ReStyled, che operano su piccola scala, con materiali di recupero, manodopera locale e processi trasparenti, si ritrovano spesso oscurati.
Il problema, alla fine, è culturale. Finché l’approccio al consumo non cambierà, il fast fashion, nelle sue forme più evidenti o più subdole, continuerà a prevalere.
Per aprirsi a pubblici diversi, ReStyled ha costruito un’offerta stratificata: si parte da scrunchies da 10 euro, fino ad arrivare a capi su misura di fascia medio-alta, ma l’educazione al valore richiede tempo, pazienza e tanta comunicazione.
Oltre al design e alla ricerca, c’è una forte componente umana. Il brand collabora con sarte indipendenti e sartorie sociali, come il Progetto LaMin, che forma richiedenti asilo e migranti attraverso la sartoria. Gaia ci racconta con un sorriso l’esperienza in laboratorio: «Già solo recarsi nel laboratorio e conoscere le persone che stavano facendo il corso è stato bellissimo», continua: «Donne da paesi diversi, con culture diverse e abbigliate in maniera differente. C’era tanto da scoprire sulle loro tradizioni. In quella stanza regnava una ricchezza culturale incredibile». Ogni capo, quando si conoscono le mani e le storie che lo hanno toccato, acquisisce un valore che va ben oltre l’estetica.

Nel 2024, ReStyled presenta la sua prima collezione completa, “Crafted Culture”, alla Circular Sustainable Fashion Week di Madrid. Dal bomber creato con una trapunta vintage alle tracksuit realizzate con tessuti deadstock, ogni pezzo è pensato per vivere nel tempo e attraversare le epoche. «L’idea era di uscire dai trend, di presentare prodotti che fossero riutilizzabili in qualsiasi situazione ed epoca», spiega.




Per di più, ReStyled non ha genere né stagione. Lavora con tagli oversize, proporzioni genderless e capi senza tempo. Gaia stessa racconta quanto per lei l’inclusività sia sempre stata naturale: da bambina amava vestirsi “da maschio”, pur sentendosi profondamente femminile. Per questo i suoi capi non hanno etichette di genere, ma si adattano alla personalità di chi li indossa. A Madrid, uno dei modelli ha sfilato con stivaletti col tacco, shorts rosa pastello e cappottino. «Mi ha detto: “Mi sento più sicuro con la gamba lunga”, e io ho risposto: “metti i tacchi. Qual è il problema?”».
Alla fine, il messaggio di ReStyled è uno: rappresentati. Non annullarti nella moda, non seguire una tendenza. «Con la moda ci stiamo annichilendo, perdendo l’occasione di dire chi siamo. Io voglio che i nostri capi vengano scelti perché hanno il potere di rappresentare. Il prodotto deve incontrare il cliente a metà strada».
Oggi ReStyled by G è presente online, in punti vendita come Green Pea a Torino e hanno avuto anche l’occasione di partecipare alla Fashion Week a Milano, attraverso un pop-up temporaneo di tre mesi. Ma non solo Italia: hanno anche una vetrina online per il mercato UK tramite Alterist.
L’obiettivo? Tornare in Spagna, creare e rafforzare una community e continuare a partecipare a progetti che diano visibilità ai brand che fanno circolarità per necessità e convinzione.
In un tempo in cui la moda corre, e sforna tendenze ogni mese, ReStyled by G rallenta. Respira. Osserva. E poi cuce, taglia, ripara. Non solo i vestiti, ma anche storie e identità, restituendo valore. Forse non è solo moda. Forse è il futuro. E forse, è proprio il futuro che stavamo aspettando.
