L’amore per il sapere ed essere donna all’epoca di Isabella non erano due cose conciliabili. “Isabella e Lorenzo” è la storia di una ragazza vissuta nel 1300 che riuscì a sconvolgere ogni equilibrio, infrangendo regole e cuori.
di Francesca Bonazzi
Capitolo 5
Le brutte abitudini
Fine, dal latino fīnis, «limite», «cessazione», parola utilizzata per indicare l’ultima parte o l’ultimo tempo di qualcosa.
Era finito il tempo dove risiedeva la mia tranquillità, da lì solo guai in vista.
Era passata qualche settimana dalla sera in cui difesi Rebecca, tornai di soppiatto perdendo la mia acconciatura e Leonardo conobbe il mio vero nome. Alla locanda era tutto normale, i ragazzi venivano abitualmente e le interazioni con Leonardo erano sempre di più: gli sguardi profondi, i sorrisi amichevoli, e forse anche un po’ ammiccanti. E le discussioni su quanto Carlo Alberto fosse ridicolo e fastidioso. Una sera persino, servendogli un boccale colmo di birra, mentre lo adagiavo sul tavolo in legno massello, la mia mano sfiorò la sua che cercava di venirmi incontro per aiutarmi. Non so lui allora cosa provò ma quel piccolo gesto non mi fece dormire la notte.
Essendo cresciuta con delle suore non è difficile pensare che loro mi avessero indottrinata a condannare questo tipo di sentimenti e reprimerli fino al matrimonio. Per fortuna non essendo nobile, non ero costretta a maritarmi con un uomo scelto dalla mia famiglia, in quel caso sarebbe stata mia zia a decidere. Ma questo non è mai stato un mio problema. Il vero problema era che vivevo nella clandestinità e mi ero innamorata del figlio del rettore dell’università e non avevo nessuna speranza con lui.
Conosceva due versioni di me, entrambe inadeguate per essere la sua compagna di vita: la me locandiera – per la sua classe sociale una moglie non avrebbe mai dovuto lavorare e tantomeno fare un lavoro così umile – l’altra versione era quella di un ragazzo universitario, penso non ci sia nemmeno bisogno di spiegare il motivo. Non ero libera di manifestare il mio amore e nemmeno avere la conferma che questa passione fosse ricambiata, ma il mio amore non aveva nemmeno tempo di essere pensato.
Una sera alla locanda avevano esagerato con i boccali di birra e ad un certo punto Carlo, rivoltosi a Rebecca, disse: “Serva dammi da bere!”, lei stranamente lo ignorò al bancone come se non fosse niente. Io amareggiata la raggiunsi e la guardai, lei mi fece cenno di non preoccuparmi. Dopo essere stato ignorato, Carlo ribadì: ”Allora! Una di voi schiave vuole darmi da bere?!”
Leonardo lo guardò infastidito ma non disse nulla e Carlo continuò: “Mi pare che anche le schiave siano dotate d’orecchie, sicuramente però non di intelletto e d’efficienza”, continuò rivolgendosi a me: “tu sgualdrina dammi da bere, presto”, prima che io potessi rispondere a tono a quel maleducato, Leonardo si alzò e si piazzò davanti a Carlo che era ancora seduto e con una mano gli avvinghiò il collo e gli disse: “se osi ancora lei o qualsiasi ancora donna in quel modo ti giuro che farai una brutta fine”.
Leonardo lasciò la presa, io incrociai il suo sguardo e sorrisi in segno di gratitudine. Carlo inizialmente rimase scosso dalla fermezza di Leonardo, ma poi si alzò e con uno sguardo di sfida puntò il dito verso Leonardo e disse: “Tu devi stare molto attento principino dell’università, io ti posso rovinare, so cosa fa il tuo paparino di nascosto” e Leonardo: “Cosa hai detto?!”
“Hai capito bene” ribatté Carlo mentre diede uno spintone a Leonardo, che lo spinse a sua volta.
Iniziarono ad azzuffarsi, avevo paura, finchè il locandiere non li cacciò dal locale.
Uscendo un loro amico disse: “Quel noioso di Lorenzo si perde sempre i momenti migliori, chissà cosa fa?”
Quel commento mi fece venire la pelle d’oca, dovevo forse trovare un alibi? Nella settimana seguente i ragazzi non vennero alla locanda. In università sembrava tutto normale, finché un giorno Carlo non si avvicinò a me, Lorenzo, e disse: “Ti stanno proprio bene i capelli lunghi”. Restai pietrificata, non riuscii a pronunciare verbo. Cosa sapeva Carlo? Qualche giorno dopo iniziarono, grazie alla famosa soffiata “anonima”, a cercarmi. Stavo affogando in un mare di bugie e incertezze.
