Un articolo di Giovanni Talamo, Archivio RitrovaTA
Puglia, primavera del 1984.
Il filmato si apre con un respiro ampio. Una lenta panoramica su un paesaggio di pietra e luce: case bianche adagiate una sull’altra come promesse mantenute, abbracciate da una gravina che incide la terra come una cicatrice luminosa. Tutto intorno il silenzio pieno di chi ha imparato ad abitare il tempo. Da quel punto alto – un tetto, una terrazza, un luogo familiare – si vede l’intero corpo del paese di Ginosa (TA): un’antica chiesa, un vecchio cinema dismesso, un ponte che unisce le rive e le generazioni. In lontananza, il luogo dove ogni anno si rinnova una passione collettiva.
Poi l’inquadratura stringe. Si apre una porta.
Sulla terrazza bianca, immersa nel sole, esce il giovane Antonio. Indossa una camicia candida, un piccolo papillon. I capelli neri pettinati con premura. Ha dieci anni e un sorriso che ancora non conosce il pudore della felicità. È il giorno della sua Prima Comunione. E cammina come chi sa, senza saperlo, che quel giorno sarà ricordato.
La cinepresa lo segue senza fretta. Lo accompagna mentre passa dalla luce aperta della terrazza all’interno della casa dei nonni. La cucina è intima, sobria, vera. I volti degli anziani si illuminano di un’emozione che non ha bisogno di parole: c’è gratitudine, c’è orgoglio, c’è continuità.
Antonio li sfiora, come un segno.
Nel salone, la festa è in corso. I fratelli, la mamma, i parenti. Antonio distribuisce le bomboniere come un piccolo ambasciatore d’infanzia. Il nonno stappa una bottiglia di Sambuca Molinari, sul tavolo accanto brilla il vetro scuro del San Marzano Borsci, liquore antico e inconfondibile, amaro e dolce come ogni memoria che torna. Le voci si accavallano, i brindisi si moltiplicano.
Ma la cinepresa non si perde. Non è lì per fare spettacolo. È lì per ricordare.
Questo filmato Super 8 fa parte del fondo Pellicoro, e oggi è custodito nell’Archivio RitrovaTA, il primo e unico archivio interamente dedicato ai film di famiglia della regione Puglia. Ma più ancora che un documento, questo è un atto poetico: il frammento di un’identità che si conserva non per nostalgia, ma per necessità. Perché un popolo che smette di ricordarsi nei suoi gesti quotidiani, nelle sue cucine, nei suoi balconi, smette anche di raccontarsi.
Noi raccogliamo film di famiglia dalla Puglia. Ma non cerchiamo l’eccezionale. Cerchiamo l’essenziale. Quel che resiste. Un passo sulla terrazza. Una carezza. Il rumore di una bottiglia che si apre. Il sole che filtra da una porta. I segni visibili e invisibili che compongono la grammatica delle nostre vite.
Un archivio non è un luogo dove si accumula. È un luogo dove si ascolta. Dove si riorganizza il senso. Dove si restituisce ciò che sembrava perduto: la voce, la presenza, il valore. Ogni
pellicola ritrovata è una lettera indirizzata al futuro. Un futuro che oggi possiamo ancora decidere di leggere, rileggere, abitare.
Quella terrazza bianca – con la sua pietra calda, la sua luce netta, il suo silenzio – è un altare domestico della memoria pugliese. E Antonio, con la sua camicia bianca e il suo sorriso largo, ne è il piccolo custode.
L’Archivio RitrovaTA non raccoglie solo immagini. Raccoglie possibilità. Custodisce ciò che ci ha resi ciò che siamo. Perché c’è un Sud che non ha bisogno di folclore né di estetica da cartolina.
C’è un Sud che si racconta attraverso le sue famiglie, le sue feste, i suoi gesti ripetuti e sempre unici. E quel Sud, oggi, trova finalmente casa in un archivio che ha scelto di amarlo nel suo silenzio.
Dalla terrazza si vede molto. Ma ciò che conta non è ciò che si vede. È ciò che ritorna. In un bambino che attraversa una porta. In un nonno che solleva un bicchiere. In un frammento di pellicola che resiste al tempo. E ci ricorda che ricordare è, prima di tutto, un gesto d’amore.
