L’amore per il sapere ed essere donna all’epoca di Isabella non erano due cose conciliabili. “Isabella e Lorenzo” è la storia di una ragazza vissuta nel 1300 che riuscì a sconvolgere ogni equilibrio, infrangendo regole e cuori.
di Francesca Bonazzi
Capitolo 4
Rebecca
Mi trovavo fuori dalla locanda “L’Oca d’Oro” con dei finiti capelli in testa realizzati con i crini che avevo ottenuto spazzolando le folte code dei cavalli in una stalla vicino al centro di Bologna. Ciò serviva a rimpiazzare i miei lunghi capelli. Stavo spazzando davanti all’ingresso della locanda e, invece che trovarmi davanti i soliti avventori, incapaci di attendere che le porte venissero aperte, dall’altro lato della c’erano la Madre Superiora e quell’antipatico di suo fratello che cercavano una giovane ragazza bionda di nome Isabella con tanto di ritratto in mano. Scappai nel retro della locanda e mi cambiai in fretta e furia diventando in un attimo Lorenzo, un ragazzo qualunque che passeggiava nei dintorni. Fu allora che capii che la mia carriera universitaria era in pericolo. Probabilmente era tutto il giorno che mi stavano cercando. Le ricerche erano iniziate da qualche settimana, grazie ad una soffiata “anonima”, come se non sapessi, già dal principio, esattamente chi fosse stato. Ma torniamo indietro a quando tutto iniziò.
Erano passati due mesi da quando lavoravo alla locanda e aveva avuto inizio la mia doppia vita. Di giorno ero un ragazzo distinto che studiava in Università e, quando il sole calava, con il favore delle tenebre diventavo una cameriera di una locanda. Ero diventata amica di Rebecca, una ragazza che lavorava ormai da un’anno lì, da quando aveva compiuto il sedicesimo anno e doveva contribuire alle spese domestiche. La madre era molto malata e il padre non riusciva sempre a portare il pane a casa, il fratellino era ancora piccolo, aveva solo sei anni e un domani sarebbe diventato un capofamiglia. Rebecca aveva l’aspetto di una divinità greca, aveva una bellezza senza tempo, un corpo che ogni donna desiderava avere, portava delle lunghe gonne marroni o grigie e un grembiule bianco ricamato e legato alla vita. In testa aveva una cuffietta coordinata al grembiule che raccoglieva i suoi capelli ondulati color dell’ebano. Gli occhi erano scuri e profondi, di una persona triste, e il suo naso era perfetto. Sembrava una bambola con la quale giocavo da bambina: le gota rosa, le labbra rosse ma non volgari, la pelle pareva ceramica. Il suo carattere però entrava in contrasto con il suo aspetto: un carattere forte, di chi ha molte responsabilità e conosce il proprio posto nel mondo, una persona stanca, ma anche che non si è arresa alla vita.
Il tempo trascorso alla locanda con Rebecca mi faceva sentire più donna, in riportava alla mia parte femminile. Ma il tempo trascorso in università e con Leonardo mi faceva sentire viva, che stavo realizzando i miei sogni cioè quello di studiare e quello di amare. Avevo un piano: mi sarei laureata e poi avrei rivelato a Leonardo i miei veri sentimenti e soprattutto la mia vera identità così avremmo potuto costruire una famiglia, se mi avrebbe voluta. Era difficile reggere il peso di tenermi dentro questo segreto e la paura di essere scoperta, cosicché avevo sentito la necessità di confidarmi con Rebecca. Il tutto però era diventato più complicato poiché era una settimana che Leonardo, Carlo Alberto e la compagnia dell’università frequentavano “L’Oca d’Oro” e avevo il terrore che mi potessero riconoscere. Quando ero Lorenzo mi chiedevano sempre di unirmi a loro, ma dicevo che dovevo studiare. Io uscivo la sera prima di tutti, quando loro stavano ancora disquisendo degli argomenti trattati a lezione nel refettorio, loro poi uscivano, venivano alla locanda e prima che loro tornassero, io ero già tornata, prendevo la carrozza per arrivare prima di loro. Avevo studiato bene tutto perché mi ero trasferita con loro, la camera singola iniziava a costare troppo. I miei compagni di camera erano proprio Carlo Alberto, Leonardo e un altro ragazzo che non si vedeva mai, non ricordo nemmeno il nome. Stavo molto attenta a cambiarmi ovviamente, fingevo di soffrire tanto di freddo. Era tutto in bilico.
Una sera alla locanda, Carlo Alberto, che era un po’ su di giri, fece un apprezzamento volgare a Rebecca alludendo che lei fosse una donna di facili costumi. Rebecca non era affatto quel tipo di donna, era solo la sua fisicità che poteva far pensare agli stolti che lei si volesse esporre in loro favore. Io, che non sopportavo Carlo Alberto, lo frenai dicendo : “Con tutto il rispetto signore, mi sembra una volpe non capace di arrivare all’uva e per tanto crede di adempiere a questa sua mancanza dicendo tali volgarità, pensando che le sia concesso solo per un prestigio innato, che non non le appartiene per qualche merito. Lei crede dunque che tutto le sia dovuto, anche ciò che non è alla sua altezza”.
Leonardo senza sapere chi fossi, ovviamente, mi diede ragione e fu affascinato nel modo in cui difesi la mia amica tanto che disse: “una donna con il tuo carattere che ci fa con indosso quel grembiule”.
Questa osservazione di Leonardo mi aveva un po’ offesa e lui la notò. Alla chiusura del locale mi prese da parte e mi disse: ”Scusi signorina…?”
“Isabella” risposi. Sapeva il mio vero nome ora, il cuore mi batteva all’impazzata.
“Isabella, mi perdoni se sono stato un po’ rude, volevo intendere che una donna coraggiosa ed intelligente come lei forse dovrebbe accompagnarsi ad un uomo colto con il quale condividere il piacere della cultura, non lavorare senza poter esprimere i propri pensieri rispondendo ad un mentecatto come Carlo Alberto”.
Sorrisi al sentire chiamare in quel modo Carlo. Sorrise anche lui. Ci guardammo intensamente negli occhi e con imbarazzo lui distolse lo sguardo. Gli dissi che dovevo rientrare. Tornai di soppiatto nella camera, avevo fatto tardi, sperando che nessuno si fosse accorto della mia assenza. Mi accorsi di aver perso l’acconciatura di crini di cavallo, ma ero talmente stanca che sul momento non ci diedi troppo peso. Mi coricai ripensando alle parole di Leonardo. Si è vero, una donna intelligente avrebbe bisogno di un uomo di cultura al proprio fianco, ma era proprio questo il problema. Perché una donna dotta doveva aver bisogno di uomo per sentirsi appagata e stimolata mentalmente? Sarebbe stata questa l’alternativa migliore? O dovevo continuare nella menzogna?
L’indomani all’alba corsi a procurarmi del nuovo crine, poi nel pomeriggio non avrei avuto tempo di procurarmeli perché avevo le mie lezione da seguire. Portai un po’ di zucchero e qualche ortaggio per ringraziare quei splendidi cavalli. A loro piaceva essere spazzolati, e io avevo assolutamente bisogno di qualche ciocca. Avevo però la percezione di essere seguita. Ancora non sapevo che sarebbe stato l’inizio della fine.
