Xhenifer Jaupi: una stella brillante nel mondo della fotografia della moda

Xhenifer Jaupi, promessa della fotografia in ambito di moda, ci racconta il suo percorso tra estetica punk, sperimentazione e collaborazioni con designer emergenti. Un viaggio tramite quattro progetti diversi fra loro, ma che mostrano chiaramente la sua grande personalità artistica.

Classe 1997, nata in Albania ma cresciuta a Brescia, Xhenifer Jaupi è una giovane fotografa di moda che ha saputo trasformare un grande interesse in una carriera che sta ancora solo nascendo. Dopo aver frequentato il liceo artistico, ha proseguito i suoi studi all’Accademia delle belle Arti LABA di Brescia, dove si è laureata con 110 e lode. Come dice il detto, non si finisce mai di imparare; infatti, attualmente Xhenifer sta studiando al Centro di Formazione Professionale Bauer nell’indirizzo di Fashion Digital Media, per specializzarsi ulteriormente nel mondo della fotografia in relazione al mondo della moda. Il suo stile, influenzato da un’estetica punk, sporca e anticonvenzionale, le sta permettendo di distinguersi nel mondo emergente della fotografia di moda. Per Xhenifer, il successo non arriva con la fretta, ma con costanza, calma e tanta positività. In questo articolo, scopriremo quattro progetti che hanno segnato il percorso di Xhenifer Jaupi, rivelando la sua evoluzione e il suo approccio rispetto a situazioni differenti nel settore della fotografia di moda.

Raccontaci un po’ di te: qual è il tuo vissuto e quando hai capito che la fotografia sarebbe stata il tuo percorso professionale?

Tutto è iniziato grazie a un mio vecchio professore del liceo, un artista straordinario a mio parere. Durante una gita a Berlino ci ha mostrato la scena artistica e fotografica, soprattutto lo stile underground. Da quel momento ho trovato questo mondo davvero affascinante, ma non ho intrapreso subito il percorso della fotografia: all’inizio ne ero semplicemente interessata. È stato un processo graduale. Ho iniziato a studiare all’accademia delle belle arti LABA a 24 anni, dunque ero già un po’ grande rispetto alla media. Attraverso questo percorso ho compreso cosa mi affascinava davvero: la possibilità di raccontare la mia visione attraverso la moda, un’arte che tutti possono osservare, e creare immagini che arrivino a tutti trasmettendo un messaggio. Questo è il motivo per cui la fotografia mi interessa così tanto.

Come descriveresti il tuo stile fotografico?

Il mio stile è un po’ punk: diretto, sporco e spontaneo. Mi ispiro moltissimo a Juergen Teller, che è la mia fonte d’ispirazione più grande. Teller ha un stile vero, spontaneo e diretto senza pensare troppo allo scatto. Io sono una persona molto emotiva e un po’ impulsiva, quindi lavoro nello stesso modo: preferisco catturare il momento piuttosto che soffermarmi troppo a riflettere sui dettagli. Se mi perdo a pensare, non concludo più nulla.

Iniziamo a parlare dei tuoi progetti. Chi è il designer dei capi rappresentati in queste foto?

La designer è Irene Gasparini, all’epoca studentessa alla LABA di Brescia. Ci siamo conosciute all’accademia, dove tra gli studenti di fashion e fotografia dovevano nascere collaborazioni come compiti assegnati dai professori. Sin da subito ci siamo trovate benissimo poiché anche lei ha una visione un po’ punk, stile che si riflette nei suoi abiti. Questo progetto era legato alle nostre tesi e il concept delle foto è frutto di un’idea sua. Il concept si ispira al mondo giapponese e al concetto di mono no aware, un fiore che muore poi rinasce. Nelle foto, l’atmosfera onirica, candida e bianca si contrappone al nero del trucco, che rappresenta un legame con l’aldilà. Poiché il lavoro era stato pensato per le nostre tesi, ci tenevamo che fosse perfetto e ci abbiamo lavorato su per parecchi mesi. 

Qual era il vostro obiettivo nel creare questi abiti?

Ci siamo ispirate ai costumi tradizionali giapponesi, ma ciò che li caratterizza davvero è il materiale utilizzato. Volevamo raccontare qualcosa di naturale, di organico. Gli abiti sono interamente realizzati con materiali riciclati provenienti da fabbriche che producono per brand come Bottega Veneta, che regalano agli studenti i tessuti e materiali di scarto per i loro progetti creativi. Ci siamo limitate a utilizzare ciò che avevamo a disposizione, sfruttandolo al meglio. 

L’elemento culturale dello shooting è stata una visione tua, della designer o di entrambe?

L’elemento culturale è stato fondamentale per questo shooting, perché io e Irene condividiamo un interesse per la cultura giapponese. Abbiamo avuto visioni molto simili, l’unico punto di disaccordo è stato nella scelta di una modella, ma non era un aspetto cruciale. In generale abbiamo sempre trovato un equilibrio, probabilmente perché siamo molto simili e perché ci ispiriamo alla stessa tipologia di artisti, designer e movimenti. Alla fine, l’artista è il prodotto di ciò che lo circonda: musica, cinema, arte e moda.

Ci sono differenze tra fotografare per un brand e per un designer emergente?

Non ci sono particolari differenze. In questo caso, il progetto era parte delle nostre tesi, quindi avevamo un coinvolgimento diretto nella direzione creativa. Per un brand più strutturato, si parte solitamente da un moodboard già definito che viene ci inviato, ma il processo creativo è comunque simile: bisogna sempre ragionarci. Si lavora benissimo anche se non si parte da zero.

Hai anche creato un bellissimo book fotografico: cos’ha ispirato il mood di questo shooting?

Per questi scatti sono stata commissionata da un modello che aveva bisogno di book fotografico, inizialmente avevamo fatto un book classico, poi l’agenzia poi gli ha chiesto qualcosa di più elaborato. Poiché lui suona in una band, abbiamo avuto l’idea di ispirarci all’estetica della rockstar a fine concerto: un look stanco, “sfatto” e autentico. Abbiamo deciso e organizzato tutto in soli due giorni. Abbiamo trovato la location grazie a una ragazza che ci ha offerto una stanza nella sua casa, che sembrava perfetta:  divano in pelle, tappeto attaccato al muro… proprio una classica casa di una rockstar degli anni ‘90. Anche qui, nessuno scatto è stato pianificato troppo, è stato fatto tutto molto alla just for fun. Un altro aspetto da sottolineare è che ci siamo ispirati a James Dean, un attore statunitense morto all’inizio della sua carriera negli anni ‘50/‘60 del ‘900. Dean aveva un rapporto speciale col suo fotografo e, a modo nostro, abbiamo cercato di ricreare la sinergia tra rockstar e fotografo come si può notare dal gesto di lanciare la sigaretta verso l’obbiettivo, o il fatto di posare a torso nudo.

Quali elementi hai voluto enfatizzare in questo shooting?

Volevo giocare con il contrasto tra il volto giovane del modello, ma dai tratti non proprio puliti, e lo smoking elegante che indossava. L’idea era mettere in evidenza le due personalità: il mondo della rockstar ribelle e quello delle celebrità più sofisticate.

Quanto è importante il rapporto tra fotografo e modello per ottenere un buon risultato?

Il rapporto tra fotografo e modello è davvero fondamentale. Se manca sintonia, si crea subito disagio: il lavoro diventa pesante, le ore sembrano non passare e potrebbero nascere tensioni. Fortunatamente, non mi è mai capitato. In genere, i modelli sono molto tranquilli e spigliati, spesso arrivano in anticipo per fare conoscenza e collaborano per creare un’atmosfera rilassata. Però so di casi in cui è stato particolarmente difficile lavorare, e quando manca la connessione, la situazione diventa particolarmente intrisa di disagio.

Hai collaborato anche con vari brand, uno di questi è Penelope Shop. Potresti parlarci di questo brand?

Penelope è una boutique che propone molti brand luxury, ma con un’identità punk e avanguardista. È un negozio storico, diretto da Roberta, una signora dai capelli rossi che sembra uscita dalla scena punk londinese degli anni ‘60. Questo negozio è il riflesso della sua personalità. Tra i marchi presenti ci sono anche brand emergenti, come Ancuta Sarca, un brand di scarpe poco conosciuto, ma che comunque è considerabile alta moda. Penelope Shop mi piace poiché mi trovo molto affine al suo stile: è sporco, ma comunque si parla di lusso.  

Quali sono gli aspetti tecnici più importanti in un servizio per un brand?

Gli elementi chiave sono la fedeltà ai materiali, che devono essere rappresentati nel modo più accurato possibile, e la coerenza con il messaggio del brand. Tuttavia, ci sono altre realtà, come Almala Firenze, che mi ha chiesto di interpretare i loro prodotti attraverso il mio stile personale poiché vuole uscire dagli schemi. In quel caso il focus non è tanto sul messaggio del brand, ma su un’estetica diversa da quella del solito.

Cosa rende una foto di moda efficace nel trasmettere l’identità di un brand?

Il modo in cui si inquadra un prodotto dice molto, il modo di operare e la visione si notano dall’inquadratura del prodotto. Ad esempio, fotografare una scarpa di profilo, a tre quarti o focalizzandosi solo sul tacco trasmette sensazioni diverse. Anche il target è importante: se una scarpa è fatta per un pubblico femminile over 60 anni, non avrà senso rappresentare il prodotto in modo troppo dinamico. La luce, poi, è fondamentale: può dare un tono classico o caratteristico, a seconda dell’effetto che si vuole ottenere. In ogni caso, il modo migliore per ottenere il risultato desiderato è sperimentando. Non c’è mai un solo modo per ottenere un risultato. 

Un altro tassello particolarmente importante nel tuo percorso riguardano gli scatti nel backstage per la sfilata di John Richmond. Com’è stato trovarsi nel backstage di una sfilata di quel livello?

Non era la mia volta in un backstage, ma è stata un’esperienza molto positiva. L’ambiente era accogliente e stimolante, cosa che non sempre accade nel settore della moda. Ci si sente in modo diverso rispetto a chi ci si trova davanti, io mi sono trovata molto bene in quanto erano tutti molto predisposti ed accoglienti.

Quali sono le sfide principali nel catturare momenti spontanei dietro le quinte?

Catturare momenti spontanei in queste situazioni è semplice, ma dipende molto dal proprio atteggiamento. All’inizio ero più timida, avevo timore ad approcciare i modelli e rischiavo di perdere alcune possibilità. I modelli comunque sono lì per farsi fare foto, per farsi vestire e truccare, ma spesso ci sono altri fotografi e videomaker che sembrano più ispirati, dunque si ha la sensazione di dare fastidio. Questi sono scatti d’impatto, foto dirette. Nei miei scatti cerco sempre di trasmettere autenticità: ad esempio, una modella con le occhiaie e i capelli leggermente spettinati mostra un po’ di stanchezza, e volevo rappresentare proprio questo: la parte più vera invece di una storia perfettamente costruita.

Hai avuto modo di interagire con lo stilista o il team creativo? Se si, com’è stata l’esperienza?

Si, ho fatto tre giorni con il team prima della sfilata, lavorando come assistente fotografa. Ho interagito con l’Art Director e anche con lo stilista stesso, John Richmond, il quale mi ha sorpreso per la sua gentilezza ed accoglienza. Tutte le persone coinvolte erano molto gentili, umane e pronte ad aiutare. Tra chi emerge, soprattutto tra i giovani, l’ambiente della moda è molto tossico, c’è molta competizione. Fortunatamente non era questo il caso. 

C’è stato un momento particolare di quel backstage che ti è rimasto impresso?

Uno dei momenti che ricorderò per sempre è stato quando lo stilista è rientrato nel backstage e ha salutato personalmente tutti i lavoratori, compresa me. Si sentiva una forte sensazione di unione tra tutti, indipendentemente dal livello di esperienza di ognuno – dai professionisti affermati a chi era appena agli inizi.

Qual è stata la soddisfazione più grande della tua carriera fino ad ora?

Senza dubbio, la mia prima mostra. È stata creata apposta per gli studenti, i quali dovevano iscriversi ad un bando per partecipare. Ricordo che ho mandato la richiesta all’ultimo secondo, quindi quando sono stata presa ho sentito una grande soddisfazione. La mostra era suddivisa in base a slot, dove ognuno veniva raggruppato in base al proprio genere, il mio era quello della moda ed essere lì con altri ragazzi giovani con cui condividere idee e confrontarsi mi ha aperto un mondo a cui non avevo mai prestato attenzione: quello di esporre. Vorrei esporre ancora, almeno una volta all’anno.

Che consiglio daresti a chi vuole intraprendere la carriera di fotografo di moda?

Sicuramente avrei voluto conoscere bene tutti i corsi disponibili prima di scegliere. L’accademia LABA a Brescia è stata utile, ma se avessi fatto il corso presso Cfp Bauer, che sto facendo attualmente, avrei già finito il percorso. Ciò che vorrei dire alla me di 23/24 anni è di non avere fretta. L’importante è continuare a fare, ma senza avere fretta, poiché quando si brama qualcosa troppo intensamente, spesso quel qualcosa sembra non arrivare. Questo porta solo a negatività, e non bisogna assolutamente riempirsi di negatività. Bisogna circondarsi delle persone giuste, piene di energia positiva. Con calma, arriva tutto.

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