Suevian: tra Svevo e Rap

Il rapper veronese è riuscito a portare letteratura e filosofia nella cultura hip-hop, dando il via a un processo creativo di nicchia, per pochi.

Il rap, “Rock Against the Police”, è un genere musicale che ormai si è consolidato nella società attuale, evolvendosi con essa fino ad arrivare addirittura alla trap. Ad ogni modo, ci sono ancora molti nostalgici del rap genuino, soprattutto di quello presente in America tra gli anni ‘90/2000, che ancora oggi rimane un importante punto di riferimento, poiché affronta tutte le problematiche della nostra società, e a volte, come nelle canzoni del nostro intervistato, abbraccia tematiche filosofiche e letterarie.
Nicolò Rossignoli, in arte Suevian, classe 2000, è un giovane artista veronese che ha da sempre avuto la passione per il rap internazionale, in particolar modo quello americano “old school” al quale faremo riferimento. Diplomato al liceo classico, decide di far conciliare i grandi classici con la sua musica, diventando Suevian e iniziando un percorso di scrittura di testi studiato nei minimi dettagli. Abbiamo deciso di intervistarlo per conoscerlo più a fondo assieme alla sua arte.

Da dove nasce la tua passione per il rap?


La mia passione per il rap nasce da quando posso avere ricordi; sin da piccolo ascoltavo musica con lo stereo dei miei fratelli. Avevamo il disco “Curtain Call – The Hits” di Eminem, mi ricordo che ascoltavo sempre “Lose Yourself”. In particolare, mi piace molto l’attacco con il pianoforte e la chitarra elettrica. Vi racconto un aneddoto che un po’ mi fa vergognare: all’inizio, quando uscì quella canzone, tra il 2004 e il 2006 circa, avevo circa 6 anni e, nell’intro, il testo recita: “Would you capture it or just let it slip?”, ma io capivo “two casso”; di conseguenza, dissi a mio padre che “cazzo” in inglese americano si diceva così. Ovviamente con l’innocenza di un bambino. Eminem, quindi, è stato il mio primo approccio al rap, ma non fu lui a darmi l’input di iniziare; ne ho avuti tanti, come ad esempio Kanye West, quello che attualmente chiamano “old Kanye”, che arriva fino ai tempi di “My Beautiful Dark Twisted Fantasy” e che mi ha permesso di focalizzarmi su quello che andava in tendenza in America nel 2014/15, dove iniziava già a predominare la trap. Mi ricordo del brano di West “Champion”, prodotto dall’etichetta discografica G.O.O.D. Music: nel brano collaborano molti artisti, tra cui Gucci Mane, Desiigner, Travis Scott, 2 Chainz e Big Sean.
Correva l’anno 2016 ed io mi ero appena iscritto al liceo, il quale mi ha permesso di approfondire la mia conoscenza dell’inglese. Ad ogni modo, c’è stato un particolare che mi ha dato la spinta, ossia la strofa di Gucci Mane che recita: “I heard your bitch ride on the bus, you don’t give a damn. My bitch drive a Lamb’, you should call her ma’am”, mi ha fatto dire: “voglio fare il rapper”, nonostante sia una rima insensata. Mi è piaciuta così tanto che mi è rimasta impressa. Così iniziai a scrivere su beat famosi come “Heartless” di Kayne o “Hotline Bling” di Drake, ma non stavo scrivendo niente di mio, al massimo qualche parola. Una cover.
Riassumendo, il primo rapper che io abbia ascoltato è Eminem, ma il motivo per cui ho iniziato a rappare è stata quella rima di Mane. Ci vollero altri due anni per iniziare a fare rap sul serio, ma nel frattempo iniziai a scrivere. Era una gavetta, anche se la gavetta è stata anche tutto quello che è venuto dopo.

Che differenza senti tra il rap italiano e quello internazionale?


Sono contento che mi facciate questa domanda. A me il rap italiano non piace perché non ci vedo un’identità; porta in ritardo quello che in America c’era 4 anni prima. Adesso va la trap, ma negli USA è iniziata ad andare nel 2016/17. Un’artista italiano che mi piace è Willie Peyote, lo trovo veramente bravo, ha una sua impronta, un genere non propriamente definibile. È veramente affascinante quello che fa. Le ragazze alle quali faccio sentire le sue canzoni mi dicono che è misogino, invece, a me sembra che esalti le donne. Sarà che io vedo le cose in un determinato modo.
Se vi devo dire un artista “old school” che mi piace, anche se non ho mai ascoltato assiduamente il rap italiano, è Guè. Il mio miglior amico di una volta è il suo fan numero 1, quindi, quando eravamo insieme, ascoltavamo tutte le sue canzoni in macchina. I testi sono banalità. Sì, qualche canzone è interessante, ma il flow non è originale. Per esempio, questo mio amico di allora mi disse: “Hai sentito la base del freestyle di Guè per 64 barre di RedBull? È pazzesca!”, e io gli risposi: “Vecio, è la base sputata di ‘Diet Coke’ di Pusha T, prodotta da Kayne”, e lui mi rispose che avevo ragione, ma non avrà mai lo stesso impatto e gli stessi dettagli della versione americana.
Se devo riconoscere la bravura di un rapper “old school” italiano, è Mondo Marcio. Aggiungerei anche Salmo, anche se fa un genere tutto suo che spazia fino al metal. Quindi, il mio rapper italiano preferito è lui. Salmo per me è all’altezza dei più grandi di sempre: il suo è un lavoro di anticonformismo, la ricerca di testi seri, la crudeltà, la secchezza delle parole che fa trasparire il fastidio della società in cui vive. Un pioniere che nessuno è riuscito a replicare. L’ho ascoltato tanto.

Ascolti rap in lingue diverse da inglese e italiano?


No, per me il testo è tutto. Io stesso mi definisco un lyricist. Certo, anche il sound è importante, ma il testo viene prima di tutto. La potenza della canzone sta nelle parole. Un artista che fa qualche canzone, anche rap, che per me è stato di grande importanza è Stromae. Un cantante pazzesco. Stromae ha fatto uscire una canzone intitolata “Carmen”, ora disco diamante e in lingua francese, con una base drill, cosa che è arrivata negli States solo qualche anno fa. Ha proprio avuto una visione innovativa, direi in anticipo di 10 anni rispetto agli altri. Mi piace molto il francese, ma solo parlato dalle donne. È una lingua molto femminile e toccante che di solito sugli uomini stona un po’, ma Stromae ha una dolcezza unica nel cantare. Leggo i suoi testi tradotti in inglese. Per esempio, mi piace molto la citazione “Où nos regards s’étaient croisés” (“dove i nostri sguardi si sono incrociati”).
In generale do importanza al testo, ma mi piacciono anche le canzoni, se fatte bene, che dicono sciocchezze; per esempio, la mia canzone trap preferita è “I Get the Bag” di Gucci Mane. Già solo il beat merita 200 milioni di visualizzazioni. Il testo non vuol dire nulla, lo si ascolta una volta e fine. Il punto è che le canzoni con un testo serio sono timeless, mentre canzoni che cavalcano un trend possono essere apprezzate solo durante quel momento. Sono destinate a finire.

Inizialmente il tuo nome d’arte era un altro, da dove nasce la necessità di cambiare?


La necessità di cambiare nome nasce proprio dal fattore testo. Nel 2020 volevo già cambiarlo in “Twice”, dall’inglese “doppio”, ma esisteva già un gruppo coreano molto famoso formato da ragazze che lo portava; in seguito pensai ad “Aizen”, personaggio del mio cartone animato preferito intitolato Bleach, un anime giapponese. Aizen è l’antagonista principale e ha il potere di controllare i sensi delle persone, risultando imbattibile. Ad un certo punto, diventa un Dio. Volevo dare l’idea che la mia musica fosse quella più “potente”, ovviamente rispetto ad artisti del mio stesso livello.
Sentivo che i miei testi diventavano sempre più complessi, infatti erano uscite canzoni come Memories, Mafia, e Sophillaz, nella quale racconto degli aspetti positivi sulla relazione con la mia ex. Mi dicevo di non poter continuare ad accostare testi “pazzeschi” a un nome come Gucci Lambo. Sono arrivato al nome attuale quando ho iniziato a collaborare con il gruppo che mi ha prodotto WYTTYF, Zeno’s Conscience e For Real. Rendendomi conto di aver a che fare con persone competenti, sentivo la necessità di adattare il mio nome a questo nuovo inizio, allora iniziai a pensare. Per esempio, mi volevo ispirare al mio film preferito, The Great Gatsby, interpretato da Leonardo Di Caprio, prendendo il nome del protagonista, Gatsby. Ad un certo punto, pensai al mio libro preferito in assoluto: La Coscienza di Zeno di Italo Svevo, pseudonimo di Aaron Ettore Schmitz. In quest’opera l’autore descrive il personaggio di Zeno Cosini, uno zoppo che si auto-definisce malato di nevrosi, cosa che lo psicanalista non conferma. Zeno è un inetto in una società di vincitori, il quale capirà che il vero sano è il malato ed il vero malato è il sano; di conseguenza, il vincitore è il perdente ed il perdente è il vincitore. Io voglio fare la stessa cosa con il rap: distaccarmi da tutto quello che viene chiamato rap, ma che non lo è, facendo qualcosa di mio per analizzare e dimostrare che, in realtà, quello che ascoltiamo è il marcio del prodotto.
In poche parole, volendo onorare Svevo, ho utilizzato la versione inglese del nome: Suevian. Così mi sono dato un’impronta letteraria in linea con i miei testi, i quali sono molto specifici ed acculturati. Insomma, Gucci Lambo non te lo dimentichi, è troppo da coglione. Di conseguenza ho cambiato il nome e ho rilasciato Zeno’s Conscience come prima canzone.

So che hai una passione per la filosofia, in particolare per Socrate, sei riuscito a conciliare le tue due passioni?

Qui ho una chicca: quest’estate mi è stato mandato un beat nel quale c’è uno switch, un cambio di melodia drastico; volevo utilizzarlo per fare una canzone chiamata Dottor Ross e Mr. Suevian, poiché nella prima parte racconto della mia identità di rapper spavaldo ed esprimo la mia visione personale sul rap, mentre nella seconda parte, in cui c’è il cambio della melodia, mi impersonifico in Plutarco e Socrate, rappando la versione di greco che ho fatto all’esame di quinta liceo, la quale parlava dei malati e della guerra. Successivamente, inizia la parte cantata, nella quale utilizzo l’autotune e vado a tradurre in inglese le prime frasi di Plutarco: “What do we have? What don’t we have?” (“Cosa abbiamo? Cosa non abbiamo?”). Verso la fine, ci sono le ultime frasi dell’Apologia di Socrate, parte in cui dice che ognuno deve andare per la propria strada: noi a vivere, lui a morire, e qui parte a mio avviso, una rappata pazzesca. Secondo me è la strofa più bella che io abbia mai scritto: il beat, accompagnato dalle doppie voci, il violino e il racconto dei punti chiave della vita di Socrate, addirittura dei figli e di sua moglie secondo la sua visione personale. Con tutto il sound che c’è sotto, sembra di sentire Socrate; me lo immagino lì, ad Atene, che parla in piazza. Non mi sono mai divertito tanto a fare una canzone. Alla fine, direi che sono riuscito a conciliare le mie due passioni.

Zeno’s Conscience, una canzone che omaggia una grande opera letteraria, come nasce questa canzone?


Questa canzone nasce un po’ dal caso. Io collaboro con un gruppo che mi ha mandato una base west side molto bella. Questa base ha una intro a cui volevo scrivere un attacco che la valorizzasse. La prima strofa inizia con “Bitch I’m back on my shit” e, pensando a Suevian, l’ho rimata con “Zeno’s Conscience on the beat”. Ho pensato che ci stesse veramente bene, vi confesso che l’avevo riscritta perché non ero assolutamente convinto, ma la mia ragazza mi ha sollecitato a tenerla. Sentire, in una canzone rap in inglese, la coscienza di Zeno, secondo me ha il suo fascino; la mia ragazza ha fatto bene a farmi tenere quell’attacco lì.

Sei un cantautore?

Si, ovviamente.

In genere cosa ti ispira a scrivere un testo?


Dipende, ci sono periodi nei quali riesco a scrivere tantissimo e altri in cui sono in crisi e non riesco a scrivere due parole in croce. A me piace raccontare, sono uno storyteller. Mi ispiro a J-Hall, Nas e 2Pac. Da questo approccio narrativo nasce in me l’esigenza di raccontare qualcosa di vero. Il massimo l’ho toccato in 17:30, una canzone che si trova solamente su YouTube, featuring Alessia Galusi, che reputo la miglior cantante mantovana. Nella canzone racconto di una relazione avuta con una ragazza.
Nel 2020 iniziai la prima strofa, anno in cui ci siamo conosciuti. Nel 2021, anno dell’inizio della nostra frequentazione, proseguii con la canzone. Successivamente scrissi un’altra strofa nel 2023, quando litigammo. A fine 2023 conclusi la canzone. Ci impiegai quattro anni a finirla. Ripercorre tutta la nostra relazione per filo e per segno, enfatizzando i momenti salienti e arrivando a quelli più tristi. È un pezzo che, ascoltandolo, ti permette di vivere ciò che ho vissuto. Secondo me, questo pezzo rappresenta il massimo che ho raggiunto con la mia scrittura. Faccio fatica a pensare di raggiungere ancora un livello tale.

Credi che tra 10 anni tutti sapranno chi è Suevian?


Dipende dalle scelte che prenderò nel mio futuro. Adesso, essendo sotto un’etichetta, mi definisco un professionista e non è più uno scherzo, si parla anche di soldi. Nessuno ti regala nulla, essendo un universitario non ho molte disponibilità economiche. Sono contento di aver mandato una canzone in radio e chiunque la ascolti la considera una canzone pazzesca, diversa dalle canzoni attualmente prodotte in Italia. Non posso sapere nulla sul futuro, spero soltanto. Non lo faccio per soldi, ma non nego che mi piacerebbe fare della musica il mio lavoro, anche se ora è un obiettivo utopistico. Ci metterò il massimo affinché succeda. A me interessa che chi conosce Suevian sappia chi è: il rapper.

Raccontami un fatto che nella tua vita ti ha segnato e ti ha portato dove sei ora.


Io ne vorrei dire due, l’uno in contrapposizione con l’altro, uno positivo e uno negativo. Il primo è stato realizzare tutte le bugie che mi sono state dette nella mia relazione precedente. L’altro accadimento parte dal fatto che sono sempre stato interessato alle ragazze più belle e popolari, per tanti anni non mi accorsi di sbagliare. Quando ho conosciuto la mia fidanzata attuale, pur sempre bella, non fui attratto dall’esteriorità, ma dalla sua persona. Ho sentito uno scambio di emozioni, un’intesa reciproca che ci ha portati, a differenza della mia relazione precedente, a una sincerità totale. Non sento più il bisogno di mentire o nascondere i miei pensieri. Ho conosciuto la mia ragazza in un ambito particolare: ci siamo incontrati in un centro psichiatrico. Mai avrei pensato di trovare l’amore lì. Mi chiedevo che persone avrei trovato lì dentro, e invece ho conosciuto le vere persone. Persone che non vorrebbero arrivare al giorno dopo, che soffrono, ma che sono riuscite a darmi tutto nel momento più difficile della mia vita. Quando loro avevano bisogno di ricevere, si sono messi a dare.
Qui mi rifaccio alla concezione del malato all’interno della Coscienza di Zeno. Chi si definisce sano, ma in realtà è malato, è fossilizzato in tutti questi valori: la famiglia, i soldi, la società, il lavoro e molto altro. L’uomo è cristallizzato in tutto ciò, non ne vuole uscire: è una comfort zone. Invece, il malato, che in realtà è sano, è sofferente e si distacca da tutto, come se avesse una disabilità. Ha qualcosa di unico che lo rende estraneo agli altri e gli permette di analizzare dall’esterno ciò che si trova all’interno. Queste sono parole di Svevo, un genio assoluto. Insomma, la conoscenza di persone in questo determinato ambito è il secondo fatto che mi ha segnato. Loro mi hanno fatto capire che si poteva andare avanti quando, per me, andare avanti non era più un’opzione.

Sappiamo che gran parte dei tuoi outfit sono del brand “Güller” che acquisti da “Mr. Gulliver”. Vuoi parlarci di più di questo marchio?


Mr. Gulliver è un negozio che vende vintage e non a Verona. Quando mi avvicinai a questo negozio, non frequentavo Verona, però vedevo i loro jeans su persone che conoscevo. Così, un giorno, andai ad acquistare il mio primo pantaloncino da Mr. Gulliver, del quale il brand è Güller. Le felpe, le magliette e i jeans avevano delle grafiche particolari. Per esempio, una delle grafiche consisteva in uno scorpione accostato ad un bicchiere. Un’altra rappresentava una mano che stritolava un serpente con la scritta: “fight the venom”, un incitamento a combattere il male, il veleno.
Il messaggio che vuole lanciare Mr. Gulliver è di avere un pensiero autonomo, pensare con la propria testa ed analizzare il marcio intorno a noi, il “venom”. Mi piace questo messaggio, sono parole di Andrea, proprietario del negozio. Inoltre, il negozio incontra il mio stile da gangster, per esempio con i jeans baggy. Mi vesto con questo stile dal 2018. Uno stile “old school”, anni 90, inizio 2000. Non potevo che non innamorarmi di questo brand.
Quest’estate volevo fare un evento particolare per l’uscita di “Zeno’s Conscience”. Sotto consiglio del mio miglior amico, contattai Andrea di Mr. Gulliver per l’organizzazione di un evento con loro. Il negozio vende anche brand famosi come Carhartt e Dickies, brand che rappresentano la East e West coast rispettivamente. Mr. Gulliver è ormai di tendenza a Verona, per me è un onore essere testimonial di questo negozio.
Il proprietario mi ha chiesto come mai avessi iniziato a fare rap. Molti in Italia avrebbero risposto che vogliono diventare come Lazza, Guè o vogliono fare “schèi” (soldi, in dialetto veronese). Io, invece, risposi: “ho iniziato a fare rap perché volevo le tipe più fighe di Mantova”. Successivamente, Andrea, dopo aver ascoltato la mia canzone, mi disse di non essere un esperto di rap, ma che la mia canzone era speciale. Dunque, scelse di fare qualcosa di grosso: un concerto, che si tenne il 1 febbraio a Settimo di Pescantia, dove ha aperto l’outlet del negozio stesso: Güller Lab & Outlet by Mr. Gulliver. Per me è bellissimo rappresentare un brand che è in linea con il mio pensiero.
Ringrazio tutto lo staff di Mr. Gulliver, ed in particolare il titolare e fondatore Andrea. Senza di loro mi sarei privato di grandissime emozioni. Fiero di vestire con gli outfit del negozio. Spero lo possano fare anche altre persone, e chissà, magari che venga conosciuto da grandi artisti in futuro. Inoltre, sempre il 1 febbraio, avrei dovuto suonare al Play Club, discoteca milanese molto importante, ma ho declinato questa grande opportunità per una questione etica e per far fede al mio pensiero socratico, scegliendo di dare precedenza a Mr. Gulliver come già promesso da tempo. Magari ci potrà essere la possibilità di rappare anche al Play Club, non lo so. Quel che so è che, in ogni caso, l’outfit sarà di Mr. Gulliver con le mie immancabili scarpe da basket. Voglio essere real, portando un po’ di Verona a Milano.

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