L’amore per il sapere ed essere donna all’epoca di Isabella non erano due cose conciliabili. “Isabella e Lorenzo” è la storia di una ragazza vissuta nel 1300 che riuscì a sconvolgere ogni equilibrio, infrangendo regole e cuori.
di Francesca Bonazzi
Capitolo 1
Isabella
Mi potete chiamare Isabella, o se preferite Lorenzo. Quando iniziai il mio percorso universitario, era così che mi conoscevano. La mia è una storia un po’ insolita: piena di passione, segreti ed erudizione. Correva l’anno 1300 quando iniziai l’avventura più grande della mia vita.
Ero rimasta senza famiglia dopo la tragica scomparsa dei miei amati genitori, avevo solo una lontana zia che mi aveva abbandonata dalle Monache di Castello di Serravalle, dalle quali poi scappai. Il mio sogno era l’Università e l’unico modo per realizzarlo era non essere me stessa, ma bensì un uomo. Mi ero tagliata i capelli, avevo rubato dei vestiti al custode del Monastero ed ero partita verso Bologna con tutta la pecunia che era rimasta dell’eredità dei miei genitori, che mi sarebbe servita per pagarmi l’Università.
Il viaggio verso Bologna non fu facile. Non potevo permettermi di pagare una carrozza per un lungo viaggio, né tanto meno attirare l’attenzione, essendo una fuggitiva in incognito. Ma torniamo indietro di un mese circa, quando iniziai a progettare la fuga: erano anni che ci pensavo, ma solo un mese prima trovai l’opportunità di metterla in atto.
Era una notte di dicembre e non riuscivo a dormire. Avevo ancora gli incubi sui miei genitori. Mi alzai e, con passo felpato, andai verso la cambusa in cerca d’acqua che veniva messa in una tinozza di ferro e da lì centellinata per dissetarsi e lavarsi. Prima la usavano le monache anziane, e poi noi novizie.
Riuscii ad abbeverarmi senza essere scoperta dal custode, che dormiva su una sedia in paglia, mezza distrutta, nel corridoio del piano terra. Al primo piano dormivamo noi e lui non vi poteva accedere. Era l’unico uomo che poteva trascorrere la notte dentro quelle mura, ma non poteva andare oltre al corridoio.
Ma, all’improvviso, sentii bisbigliare una voce maschile, e se il custode stava dormendo, chi poteva essere? Mi avvicinai verso una porta socchiusa dalla quale proveniva una luce tremolante di una candela. Guardando dall’occhiello della serratura, vidi il Cardinale Malatesta parlare con la Madre Superiora. Cosa ci faceva qui di notte?
Il cardinale veniva spesso in visita durante il giorno per avere un resoconto delle attività del Monastero. Veniva sempre con abiti lussuosi pieni d’oro, pizzi e merletti, ma che evidenziavano ancor di più la sua fisicità imponente e sgradevole. Era alto come uno scaffale della nostra biblioteca, largo come la fontana del giardino e la voce era come un tuono. Il viso era formato per lo più dal naso, che ne occupava tutto lo spazio, con quella punta tagliente; la bocca sottile con un ghigno di malizia stampato sopra e gli occhi piccolissimi.
Quella sera la sua voce non tuonava come al solito, era quasi preoccupata. Ma non me ne curai chissà quanto. Disse che tra un mese sarebbe tornato a Bologna, a casa sua, per farsi curare. Allora viveva in un’abbazia vicino al Monastero. Da lì mi venne l’idea che mi cambiò la vita.
Arrivò il giorno del viaggio e il cardinale era giunto al Monastero con il carro pronto a partire. Io, con l’aiuto di Teresa, la cuoca, l’unica che mi stava a cuore, riuscii ad ottenere le chiavi della casetta del custode, che si trovava in fondo al giardino, dove alloggiava tutta la giornata, eccetto la notte, orario di sorveglianza. Così almeno sarebbe dovuto essere, ma in realtà non faceva assolutamente niente.
Entrai nella casetta e mi camuffai da ragazzo infilandomi i vestiti del custode. Puzzavano, ma cosa non si fa per la cultura, mi dicevo. Il mio sogno è sempre stato quello di studiare tutto quello che era possibile, leggere tutti i libri possibili ed immaginabili, viaggiare e vivere libera.
Mentre Teresa distraeva il Custode (aveva un debole per lei), oltre ad indossare quei putridi vestiti, mi tagliai i capelli ramati con le cesoie. Così poi mi rannicchiai nel fondo del carro, tra i bagagli sfarzosi e le provviste, sperando che il viaggio non durasse troppo.
