[I’m]perfect: fotografare i difetti per renderli arte

Il progetto nato dalla necessità di esprimere un messaggio attraverso la fotografia. Sara sfida gli standard estetici dimostrando che le imperfezioni possono diventare dettagli unici da valorizzare, non da nascondere.

Fin da adolescente, la fotografia ha sempre fatto parte della vita di Sara Rossi, una ragazza di 30 anni originaria di un paesino in provincia di Mantova. Era “quella con la compattina” alle feste degli amici, tanto che molte delle loro immagini di profilo erano scattate proprio da lei. Per i suoi 17 anni, i suoi amici le regalarono la sua prima Canon Reflex 1100D, un gesto che segnò l’inizio di un percorso molto più strutturato. Da lì, un corso base con un photo club a Castel Goffredo le permise di padroneggiare la modalità manuale e sperimentare con il ritratto e la fotografia notturna. Ma è stata la pratica a farle davvero affinare lo sguardo: fotografava di tutto, partecipava a workshop e photo club lasciandosi ispirare da quegli ambienti che, nonostante amatoriali, sono stati stimolanti.

Dopo il diploma, ha scelto di studiare Lingue per l’Editoria, un percorso che includeva anche corsi di fotografia. Conclusa la triennale, ha proseguito con Fotografia, Grafica e Arti Visive a Padova, dove ha appreso tecniche avanzate come l’uso delle luci da studio, la gestione dei set e la pianificazione di moodboard e shooting. Non avrebbe mai pensato che la fotografia potesse diventare la sua professione, temeva di trasformare una passione che la affascinava così tanto in un’abitudine noiosa priva di slancio creativo. Tuttavia, le esperienze lavorative hanno via via delineato il suo percorso: ha iniziato come fotografa per cataloghi, poi come videomaker per un’azienda di e-commerce nel settore del lusso. Qui ha avuto accesso ad apparecchiature professionali che le hanno permesso di compiere un vero salto di qualità. Nonostante l’entusiasmo per quel lavoro, la vita sempre in viaggio e gli straordinari non pagati l’hanno spinta a intraprendere un nuovo percorso. Oggi lavora come freelancer, scattando anche per eventi speciali come i matrimoni. Ma il suo vero obiettivo è chiaro: affermarsi nella fotografia di moda.

Ad ogni modo, oggi non parleremo del suo percorso nel mondo della moda, bensì di un incredibile progetto dal nome particolare: [I’m]perfect. Un gioco di parole che nasconde un significato profondo, facendo trasparire il concetto che, anche con le nostre imperfezioni, siamo perfetti così come siamo.

L’origine di [I’m]perfect


L’idea di questo progetto fotografico è nata da un incontro con Oliviero Toscani. Dopo aver analizzato il suo portfolio, l’affermato fotografo le fece notare che le sue immagini erano tecnicamente impeccabili, ma prive di un vero messaggio. “Non bastava una bella luce, serviva qualcosa di più profondo”, racconta Sara. Quelle parole la colpirono, tanto da spingerla a un cambiamento radicale: smise di fotografare qualsiasi cosa e iniziò a scattare solo quando aveva qualcosa da raccontare. Il primo progetto che realizzò seguendo questo nuovo approccio si intitola Beige, un lavoro che si focalizza sul razzismo, con un messaggio chiaro: siamo tutti sfumature dello stesso colore. Questa esperienza la portò a riflettere ancora più a fondo, tanto da volersi mettere in gioco con altri progetti. Questo la portò a ragionare sul nostro aspetto e sulle sensazioni che esso ci fa provare. Guardandosi allo specchio, si accorse di quanto il suo corpo fosse cambiato nel tempo e di quanto questo la mettesse a disagio. Fu allora che si chiese se fosse l’unica a sentirsi così.

Per scoprirlo, lanciò un sondaggio su Instagram, chiedendo ai suoi follower quali parti del loro corpo non gli piacessero. Con sua sorpresa, ricevette quasi un centinaio di risposte. Fu in quel momento che nacque [I’m]perfect: un progetto dedicato a fotografare i cosiddetti difetti per trasformarli in arte. L’idea piacque molto al suo pubblico, ma trovare persone disposte a partecipare non è stato semplice. È vero che inizialmente molti si mostrarono interessati, ma pochi avevano il coraggio di mettersi davanti all’obbiettivo. Per questo, la prima volta che scattò, lo fece su sé stessa, realizzando autoritratti in un periodo difficile della sua vita. “È stato un modo per sfogarmi e, allo stesso tempo, ha dato il via al progetto”, spiega. La prima persona che fotografò, oltre a sé stessa, fu un’amica stretta di Verona. Questa le confessò di sentirsi insicura riguardo al suo profilo, alle occhiaie e ai peli sulle braccia. Per valorizzare questi aspetti, Sara decise di utilizzare elementi visivi che rendessero lo scatto particolarmente interessante: applicò glitter sui peli e sulle occhiaie e fotografò il profilo ispirandosi ai ritratti rinascimentali. Il risultato fu incredibile. Col tempo, sempre più persone hanno iniziato a partecipare, sebbene alcune abbiano ancora bisogno di tempo prima di esporsi.

Molti uomini hanno mostrato interesse per il progetto, ma pochi si sono sentiti pronti a farsi fotografare. Uno di loro, però, ha deciso di mettersi in gioco. Sara lo ha conosciuto durante un’uscita di gruppo e, dopo aver visto i suoi lavori su Instagram, lui stesso si è proposto. Non aveva mai posato prima e questo ha reso l’esperienza ancor più speciale per entrambi. “Era un grande onore, ma anche una responsabilità”, racconta. Pian piano, scattando, il ragazzo si è lasciato andare e, alla fine, si è addirittura commosso nel vedere il risultato.

Le insicurezze delle persone variano molto, ma alcuni temi si ripetono: molte donne indicano fianchi e cosce come fonte di disagio, mentre gli uomini si concentrano sulla pancetta. Ci sono poi insicurezze meno evidenti, come la difficoltà a vedersi struccati o piccole cicatrici quasi impercettibili. Ciò che colpisce Sara è che, spesso, i difetti che le persone vedono in sé stesse non sono nemmeno notati dagli altri. La reazione più comune dopo aver visto le fotografie è proprio questa: il difetto, nell’insieme dell’immagine, appare molto meno evidente, poiché esso armonizza con il resto del corpo.
Un episodio particolarmente significativo riguarda il ragazzo che ha posato con il tallone su una mela, per rappresentare una leggera differenza nella lunghezza delle gambe. A un certo punto, chiese a Sara quale gamba fosse più corta. Lei, senza saperlo, indicò quella sbagliata. Questo è un dettaglio che ha reso ancora più evidente quanto spesso le insicurezze siano percepite solo da chi le vive.

Sara è consapevole che una fotografia non può cambiare del tutto la percezione che una persona ha di sé. Tuttavia, può offrire un nuovo punto di vista e far apprezzare un’immagine di sé che prima ci si rifiutava categoricamente di vedere. Le principali sfide del progetto sono state due: convincere le persone a partecipare e trovare il modo giusto per valorizzare dettagli spesso impercettibili. Ogni scatto deve avere una sua storia, e per questo Sara utilizza uno stile personale: immagini pulite, dai colori pastello, con il minor numero possibile di elementi di distrazione.

Vale la pena chiedersi che futuro avrà questo progetto in quanto finora ha ricevuto ottimi riscontri, sia online che dal vivo. L’estate scorsa, alcune fotografie sono state esposte in una mostra all’aperto, suscitando grande curiosità. Una cosa è certa: Sara vorrebbe continuare questo progetto per tutta la sua carriera. L’unico obiettivo è di far sentire bene chi si fa fotografare. Un’idea che le piacerebbe realizzare è un fotolibro, ma per ora non ha altre ambizioni che lo riguardino: [I’m]perfect nasce da un desiderio di accettazione ed il suo messaggio dovrebbe far riflettere tutti sul fatto che le nostre imperfezioni, in fondo, non sono così grandi come le percepiamo. “Vorrei che, guardandosi in queste foto, le persone dicano: ‘io sono anche questo, e posso esserlo tutti i giorni’”, conclude Sara.

I nostri difetti, se ci pensiamo, non dovrebbero neppure essere osservati da noi stessi. Fernando Pessoa, poeta e scrittore portoghese del primo Novecento, affermò che l’uomo non avrebbe dovuto essere in grado di vedere il proprio volto: un tempo egli poteva vedersi solo riflesso in stagni e fiumi. Per osservassi, quest’ultimo doveva chinarsi e assumere una postura simbolica, una sorta d’inchino. L’inventore dello specchio, sosteneva Pessoa, ha avvelenato il cuore umano. Oggi, però, viviamo nell’epoca dei mille specchi, non solo quelli fisici di tutte le forme e grandezze, ma anche le innumerevoli fotocamere e videocamere rendono impossibile sottrarsi alla propria immagine. Per questo, attraverso il suo progetto, Sara tenta di risanare questo rapporto, trasformando l’obbiettivo in un occhio pieno d’ amore per noi stessi.

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