Un viaggio attraverso la fotografia, alla scoperta di un paese e delle sue tradizioni.
Davide Gualtieri, fotografo romano, con le sue fotografie ci racconta l’Albania attraverso lo sguardo di un osservatore attento ed aperto a cogliere le emozioni che un paese e la sua tradizione hanno da offrirgli. Il viaggio fotografico attraversa luoghi albanesi come Berat, Tirana, Gjirokastër, Valona, Scutari, Apollonia e molti altri. Si tratta di un viaggio di coppia vissuto intensamente, che riporta i suoi protagonisti un po’ a casa, rievocando quello che non troppo tempo fa era il Sud Italia. Le fotografie dell’artista sono presenti sia in bianco e nero che a colori. Ognuna di esse prevede una cura minuziosa nel catturare i minimi dettagli, i quali svelano sfumature della realtà che un occhio non allenato non noterebbe. Da questo carosello di foto si possono dedurre alcune scene ritraenti possibili usanze albanesi.






Nelle fotografie, dunque, viene raffigurata la realtà. Provando ad analizzarne alcune, si inizia con una sequenza di foto in bianco e nero. Nella prima fotografia, infatti, si può vedere la statua di una santa. Non è chiaro se si tratti della Madonna, la quale porta le mani al petto, tenendo forse una piccola croce. Il viso è coperto dall’oscurità della sera e dalla tecnica del chiaroscuro. La statua presenta evidenti segni del tempo, dati da piogge, vento e sole. Alle spalle della statua si può intravedere un palazzo dallo stile moderno e la scritta “Opportunity” in cima ad esso. L’associazione tra la santa in preghiera e la scritta moderna è qualcosa di toccante e significativo, che fa pensare a una speranza eterna: la speranza di una vita migliore, di una società migliore e di un mondo anch’esso tale. Ma pur essendo l’ultima, anche la speranza muore insieme a coloro che ci hanno creduto.
Proseguendo sulla strada della nostalgia, la seconda foto raffigura una macchina da scrivere albanese. Si può comprendere che la macchina sia locale dalla tastiera, dove su un tasto c’è scritto “të mëdha” (in italiano “cose grandi” o “importanti”). Interessante è il fatto che sia il tasto utilizzato per il carattere maiuscolo, come ad enfatizzare che qualcosa scritto in grande sia più importante di altro. Tuttavia, l’occhio di un bravo osservatore cade anche su ciò che non è in risalto. Ciò non vuol dire che non abbia uguale importanza. In questa foto Gualtieri cattura anche una polaroid posizionata vicino alla macchina da scrivere, che ritrae un signore di mezza età, in abito elegante e con un bel paio di occhiali evidenti, ma il viso non è altrettanto in risalto. Che sia uno scrittore? Di quelli silenziosi, che osservano la realtà e la rendono protagonista, un po’ come l’autore di questi scatti. La macchina da scrivere consente allo scrittore di mostrare come vede la realtà; allo stesso modo, la macchina fotografica è l’occhio del fotografo per mostrare la sua visione della vita.
Nella terza foto torna l’immagine della statua: un’immagine silenziosa. La statua è sempre un’iconografia femminile ed è come congelata nell’atto di tendere la mano sinistra verso l’esterno, coperta dall’abito. Non riesce. È presente una figura alata: si può presupporre sia una colomba, simbolo di purezza, pace e libertà. L’uccello tenta di spiccare il volo, abbandonando la sua compagna umana, ma anch’esso non riesce: è congelato. Immagine pulita, dove il caos e la vita se ne sono andati.
In contrapposizione con questa assenza di vita, nella quinta fotografia vi è il volto di profilo di una bambola che, nel suo essere inanimata, porta tradizione, freschezza e giovinezza. Si intravede la riproduzione di un abito con il colletto di pizzo e i suoi accessori, come per esempio gli orecchini della tradizione albanese. Rifacendosi alle foto 1 e 3, nell’immagine 6 torna la religiosità in un contesto che sembra essere un cimitero o un sepolcro: una croce semplice di legno e chiodi, e anche un po’ trascurata, viste le ragnatele. La tecnica del chiaroscuro esalta una luce in lontananza, che ricorda un bagliore divino, portatore di speranza per un eterno riposo.




La foto 7, molto particolare, rimanda a qualcosa di antico. Può ricordare le mummie egizie per le bendature, ma non si trovano rinchiuse in qualche sarcofago. Anzi, sono libere: forse si tratta di qualcosa di folcloristico. Queste figure insolite, senza testa, marciano come fossero vive.
Nella foto 8, finalmente, appare una donna in carne e ossa. Vediamo metà volto e lo sguardo rivolto verso il basso, con i capelli raccolti e un abito chiaro. Lo sfondo, di una magnificenza unica, mostra un tempio dell’epoca greco-romana e la natura rigogliosa che si impone insieme ad esso nella sua maestosità. Il tempio, figlio di un’epoca passata, la natura, sempre presente nell’esistenza umana, e la signora, figlia dei giorni nostri, esaltano la vita in questa foto spettacolare. Queste immagini, citandone l’autore, mostrano in contrapposizione “caos e silenzio”.
Prendiamo ad esempio la foto 10, dove si intravede la punta di una barca in mezzo a un mare apparentemente tranquillo. Quella che può sembrare terraferma non è poi così in lontananza. Il fatto di aver realizzato la foto in bianco e nero crea un effetto di nebbia e di maggior impatto visivo. Ci fa quasi percepire un vento gelido e il suono delle onde del mare. Chiudendo gli occhi, sentiamo l’odore del pescato del giorno e le nostre orecchie percepiscono il marinaio gridare “terra!”. Questi suoni si sentono chiaramente, non essendoci alcunché eccetto la barca.



È una foto apparentemente silenziosa, ma che racchiude un caos all’interno. Mettendola a confronto con la foto 11, si entra in una sequenza di immagini a colori. Si vede chiaramente la barca che sta abbandonando la riva, dietro la quale si intravede lo skyline di palazzi, e quindi di civiltà: una foto molto rumorosa, subito a primo impatto. Si percepisce il forte rumore indistinto della città alle spalle. Si può anche sentire il motore di quello che potrebbe essere un motoscafo. La foto a colori crea un effetto visivo completamente diverso: si immagina meno l’avventura e si pensa invece alla concretezza e alla praticità. È una foto più vicina a noi, ma che lascia meno spazio ai sogni. Parla da sola.




La fotografia 17 crea invece un’esperienza del tutto diversa: un contrasto tra degrado sociale, rappresentato dall’immondizia che nessuno ha raccolto, e un poster che pubblicizza un prodotto di skincare, creando nel passante un bisogno: logica nella quale il consumismo ripone le sue radici. L’autore stesso dello scatto dichiara di aver trovato un’accentuata disparità urbanistica, tra ville sfarzose e case molto più modeste.



Tutte le foto di Gualtieri sembrano essere dipinti della società odierna e di quella che è stata l’umanità nei secoli. Permettono alle nostre menti di entrare in posti lontani e in tempi passati, da noi non vissuti. La vita che entra in un’altra vita. Egli dichiara: “Non voglio far vedere l’Albania, ma il suo sapore”.
